Pontelandolfo e Casalduni: la strage del 14 agosto 1861 raccontata dagli Stormy Six e da Gigi Di Fiore
In occasione della strage di Pontelandolfo e Casalduni, avvenuta per mano dei bersaglieri inviati da Enrico Cialdini, rilanciamo due interventi culturali. Prima, per chi volesse conoscere i fatti, forniamo i link a due articoli. Nel primo, Gian Antonio Stella racconta la strage in un articolo pubblicato dal “Corriere della Sera” il 14 agosto 2011. Nel secondo, il Comune di Pontelandolfo racconta la strage in una pagina del suo sito Internet.
Il primo è un pezzo del gruppo musicale milanese, gli Stormy Six, intitolato “Pontelandolfo”. La canzone fa parte dell’album “L’Unità”, pubblicato nel 1972, che propone una rilettura in chiave anti retorica del Risorgimento italiano.
Il secondo è un estratto del primo capitolo del libro di Gigi Di Fiore “1861, Pontelando e Casalduni: un massacro dimenticato”, scritto nel 1998. L’autore ripercorre la strage attraverso l’occhio di due giovani, in un libro a cavallo fra romanzo e ricostruzione storica.
Gli Stormy Six
Segue “Pontelandolfo” degli Stormy Six. Ecco il link per leggere il testo della canzone.
Gigi di Fiore: un estratto del primo capitolo
Il silenzio avvolgeva il buio. E i contorni indefiniti dell’orizzonte familiare si trasformavano, ad occhi chiusi, in bianche nubi, pronte a volare via. Correte, pensieri, correte a impadronirvi del mondo. Correte a dominare la pianura, i boschi insidiosi, i monti sterminati. Correte a seguire la scia di un sogno che non riesce a trovare pace. Erano, come ogni sera, le solite, ineguagliabili, sensazioni di quel piacere intenso a renderla felice. Un piacere, prigioniero della fantasia. Era la magia di Concetta. La magia quotidiana di una notte d’estate. In compagnia di colline lontane. Notte d’estate. A farsi accarezzare, docile, il volto disteso dagli odori delle zolle di terra appena inumidite. Notte d’estate. A socchiudere le palpebre, per nascondere occhi simili a perle scure. Notte d’estate. A fissare, ormai stanca, intensamente quell’immobile manto di stelle, coperta rassicurante e protettiva.
Concetta correva. Correva, anche se immobile, senza che nessuno potesse fermarla, ad afferrare, dentro una stella più vicina alla torre, il viso disteso del suo Pasqualino che le sorrideva dolcemente. Una stella, in un volto distante. Pasqualino: vicino solo nella sua mente, le pareva bellissimo. Quel volto paffuto, appena disturbato da qualche accenno di barba, quei folti riccioli neri erano lassù. Tra migliaia di stelle che ogni tanto, quasi per farle un dispetto, decidevano di lasciare il cielo e abbandonarsi alla terra. Stelle cadenti, compagne di attimi felici.
Pasqualino, Pasqualino. Da quanto tempo aveva lasciato le sue pecore, le sue zolle di terra maledetta per indossare quella strana divisa e correre a sparare per difendere o’rre nuosto ? Un anno, un mese, un giorno? Un’eternità. Pasqualino era chissà dove, lontano da Pontelandolfo e, ora che re Francesco guardava il suo popolo da Roma, Concetta continuava a chiedersi, con ansia, che fine avesse fatto quel suo pastorello. Ma, per dare vita eterna al suo amore, correva ad afferrarlo nella sua stella. A sedici anni i sogni, quando vengono partoriti dalla passione, fanno a pugni con la ragione.
E lei sperava, senza tentennamenti, sempre allo stesso modo, che il suo Pasqualino non fosse tra quei quattromila giovani che si erano illusi di aver regalato la propria vita alla loro Patria. Quelle quattromila carni lacerate dalla polvere dei cannoni, dalle baionette che chiamavano italiane, dalle palle dei fucili imbracciati da altri giovani della stessa età, ma in giubba rossa o divisa azzurra. Morire per la Patria. Già, la Patria. Che strana parola, resa solenne dallo scintillio di bottoni di rame gigliati, bandiere, fucili. Ma illuminata solo dalle lacrime. La Patria: parola che pochi, lì intorno, avrebbero saputo spiegare. Ma c’era andato anche Pasqualino a combattere contro don Peppino Garibaldi e i soldati di quel re straniero: re Vittorio. Pasqualino che la parola Patria non l’aveva neanche mai pronunciata.
(per continuare a leggere l’estratto del libro fare clic su questo link)
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