La petizione lanciata da Domenico Iannantuoni per l’istituzione di un Giorno della Memoria per le vittime dell’Unità d’Italia ha superato 10 mila firme. Tutto in soli 36 giorni e contro una campagna incessante portata avanti da chi, specialmente al Sud, per qualche motivo ha paura della memoria. Da quando i meridionalisti che militano nei 5 Stelle hanno lanciato la proposta in diversi consigli regionali, si è scatenata una campagna di disinformazione sulla proposta. Eppure il testo dei grillini è scritto in un italiano semplice e molto chiaro. Non parla né di stati preunitari né di ritorno al passato. Non attacca l’Unità d’Italia. Parla dei nostri morti. E così è anche la petizione di Iannantuoni, che i Meridionalisti Democratici hanno sostenuto da subito con l’appello del presidente Domenico Capobianco.
Disuguaglianza territoriale anche per i nostri morti
Abbiamo notato che chi scrive contro l’istituzione della giornata per la memoria svia sempre il discorso verso i Borbone. La tattica è semplice – spostare l’attenzione dalle vittime dell’Unità d’Italia, ovvero dalle migliaia di contadini massacrati da bersaglieri e carabinieri, ai Borbone. I morti ci sono stati, sì o no? Quanti furono? Chi li ha uccisi? Per quale motivo? Non si risponde a queste domande ma si alza lo spauracchio del ritorno dei Borbone. Si fa appello a sinistra contro i “reazionari” borbonici e verso destra per difendere la sacralità dell’unità nazionale dai “separatisti”, sempre borbonici. Pura follia, malafede o incompetenza?
E così scopriamo che anche per la memoria, c’è la disuguaglianza territoriale. I morti del Sud sono di seconda classe per lo Stato italiano. I contadini del Sud hanno meno importanza delle vittime delle Foibe uccise dai comunisti di Tito o dei martiri delle Fosse Ardeatine assassinati dai nazisti. Forse commemorare i morti delle Foibe e delle Fosse Ardeatine fa meno paura perché furono uccisi dagli “stranieri” e non da altri italiani. Nel caso del Sud Italia, furono i militari italiani ad uccidere altri cittadini del nuovo stato italiano. È forse questo il problema? O c’è altro?
Il peccato originale del risorgimento italiano
Spostare l’attenzione dalle vittime ai regnanti dell’ultimo stato indipendente del Sud è una manifestazione di grande debolezza. Forse si ha paura di portare a galla il “peccato originale”, mai affrontato, su cui si fonda il racconto “risorgimentale”. Evidentemente la balla della liberazione del sud dai Borbone non è giustificabile se ci furono tanti meridionali uccisi dopo l’unità. È questo il problema? Oppure la memoria significa aprire (o riaprire) il discorso sulle profonde differenze fra mazziniani e savoiardi sulla distribuzione delle terre nel Sud, sull’emancipazione dei contadini. Significa affrontare il brigantaggio come lotta di classe dei contadini contro i latifondisti protetti e arricchiti dal nuovo stato italiano.
La storiografia ufficiale tende ad armonizzare l’invasione garibaldina del sud e il sopravvento savoiardo, come se fosse un tutt’uno, parte di un piano strategico concordato. Repubblicani e monarchici dell’epoca diventano parte integrante di un unico grandioso piano. Ma chi ha la pazienza di leggere la storia in modo critico, vedrà che c’era ben poco in comune fra il repubblicano progressista Giuseppe Mazzini e il monarca sabaudo Vittorio Emanuele. Un’attenta rilettura porterebbe anche la sinistra italiana (e forse una parte della destra meridionale) a chiedere la rimozione delle statue sabaude, dei nomi di Vittorio Emanuele e di Cavour dalla toponomastica nel Sud (ma forse anche altrove). Ricordare i nostri morti potrebbe causare notevoli difficoltà per chi ha creato e continua a beneficiare dalla menzogna risorgimentale.
Interessi di basso livello contro la giornata della memoria
Oppure il motivo di tanta acredine è molto più banale e semplice, meno politico, meno storico e per nulla intellettuale. È forse economico e di posizionamento istituzionale. Chi ha costruito la propria posizione intellettuale, la propria associazione culturale, la propria cattedra universitaria sulle balle risorgimentali ha paura della giornata della memoria.
A volte le motivazioni dell’agire umano sono molto più semplici e puerili. Non sono causate da fantomatici complotti mondiali o da associazioni segrete. Sono il risultato di interessi ben visibili e comprensibili. Come tanti mali che affliggono il nostro Sud.
Gramsci scrisse che “lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di «briganti».” Ma Gramsci ha anche scritto che “la verità è sempre rivoluzionaria”. E la rivoluzione (meridionale) fa paura a chi ha centri di potere, culturali e non, da proteggere, partendo dalle cattedre passando per le associazioni e finendo con le fondazioni culturali.
La petizione va avanti
E mentre continua il dibattito sul merito dell’istituzione della giornata della memoria, la petizione continua a raccogliere consensi battendo quella contraria, lanciata dalla professoressa Lea Durante, con un rapporto di 7 a 1, come descritto nell’ottimo articolo di Domenico Iannantuoni, pubblicato sulla pagina Facebook, “Terroni di Pino Aprile”, il 22 settembre 2017.
Andiamo avanti! La verità è sempre rivoluzionaria!
—Domenico Capobianco e Tony Quattrone
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Nella foto in evidenza, la brigantessa Michelina Di Cesare, attiva in Terra di Lavoro; sorpresa ed uccisa assieme ad alcuni compagni nel 1868, il suo cadavere denudato fu esposto sulla piazza principale di Mignano come monito per la popolazione locale (Wikipedia)