Rilanciamo un articolo di Riccardo Marangio, del Movimento Lupi del Sud, pubblicato sulla sua pagina Facebook il 10 gennaio 2024 e su Lettera Napoletana. Marangio riassume i punti salienti di un convegno organizzato dalla Fondazione Banco di Napoli, “Sud, identità e futuro”, che si è svolto a Napoli il 10 e 11 novembre 2023.
Convegno “Sud, identità e futuro”
Un convegno organizzato dalla Fondazione Banco di Napoli, (“Sud, identità e futuro”, 10-11 novembre 2023) ha rimesso all’attenzione di imprese, politica e mass-media i due nodi fondamentali da affrontare perché il Sud possa uscire dalla condizione di sottosviluppo economico.
Due nodi da affrontare per il rilancio del Sud
Il primo è la sua identità culturale, che non è un peso come dalla unificazione in poi ci insegna la scuola e ci ripetono gli storici crociani e marxisti, gli economisti e i sociologi, ma una grande risorsa. Per oltre sette secoli – come ha rilevato nel suo intervento la prof.ssa Carmela Maria Spadaro, dell’Università Federico II – l’attuale Sud dell’Italia è stata una realtà sostanzialmente unitaria, nelle istituzioni, nella religione, nella cultura, nella lingua, sia pure nelle distinzioni regionali. Sono le componenti essenziali di una Nazione, oggi senza Stato per un tornante sfortunato della sua Storia, ma che resiste ancora, ed è il patrimonio di cui disponiamo per il riscatto.
L’identità culturale comprende la tradizione produttiva del Sud, che ha subito lo smantellamento di gran parte del proprio apparato produttivo con l’unificazione (nel 1861 lo stabilimento siderurgico di Pietrarsa aveva 1500 operai, l’Ansaldo di Genova, 800, la Fiat sarebbe nata mezzo secolo dopo) e la perdita dei centri direttivi rimasti negli anni ‘80 e ‘90, cioè delle funzioni che la Napoli capitale aveva sempre ricoperto essendo il punto di riferimento culturale, burocratico ed economico dell’attuale Sud dell’Italia.
L’identità culturale come fattore di sviluppo
Il rettore dell’Università Parthenope, Antonio Garofalo ha intitolato il suo intervento al convegno “L’identità culturale come risorsa economica”. Identità e sviluppo sono fortemente collegati – è stata la tesi sviluppata – e la prima è la leva per la crescita economica. Lo conferma “la capacità di attrazione turistica al di fuori di ogni previsione”, che Napoli sta dimostrando grazie al suo patrimonio culturale. Aiutata – aggiungiamo noi – da oltre 120 collegamenti attivati a Capodichino esclusivamente dalle compagnie aeree straniere, e non da Ita Airways, cioè dal sistema Italia.
Che l’identità culturale sia una risorsa economica è chiaro da tempo agli imprenditori, ma non alla classe politica meridionale. Il Gruppo FS ha investito nel 2017 due milioni di euro per rinnovare completamente il Museo ferroviario di Pietrarsa, che ha sede nelle antiche officine, compresa una grande statua in ghisa di Ferdinando II di Borbone. «Ci confrontiamo con i grandi gruppi ferroviari del mondo – spiegò l’amministratore delegato di FS Renato Mazzoncini all’inaugurazione – e ci siamo resi conto che un Museo ferroviario è importante perché le radici robuste nella storia, sono uno strumento di marketing» .
La perdita dei centri direttivi
La perdita delle funzioni direttive e la de-industrializzazione subita negli anni ‘80 e ‘90, sono il secondo nodo da affrontare per fare uscire il Sud dalla condizione di subalternità e di sottosviluppo economico. La svendita del Banco di Napoli è stata indicata come il caso emblematico al Convegno Sud, identità e futuro. Il Banco nel 1997 fu ceduto dal Tesoro a una cordata composta dal gruppo assicurativo INA e dalla Banca Nazionale del Lavoro per 61 miliardi di vecchie lire. Due anni dopo fu rivenduto per circa 6 mila miliardi di vecchie lire al San Paolo di Torino. Il Banco di Napoli era stato dichiarato fallito per la situazione debitoria, appesantita dai crediti inesigibili, ma la SGA (Società Gestione Attivi s.p.a.) incaricata del loro recupero è riuscita a recuperarne quasi il 90% per un totale di circa 6 miliardi di vecchie lire.
La storia dell’Autorità per le Comunicazioni
Ma è fallito anche il tentativo di restituire qualcosa a Napoli e al Sud. Nel 1997 fu istituita l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con sede a Napoli: 25 piani di una Torre al Centro direzionale destinati agli uffici, oltre 400 dipendenti, un impatto significativo nell’indotto delle TLC. A partire dal 2000 è cominciato lo svuotamento della sede. Adesso, i dipendenti rimasti a Napoli sono meno di 100, i piani della Torre occupati sono 11, tutto il resto è stato trasferito a Roma.
La Banca del Sud soffocata sul nascere
E la Banca del Mezzogiorno? Doveva chiamarsi Banca del Sud e voleva essere un (modesto) risarcimento per la perdita del Banco di Napoli. Nata da un’idea dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, fu prevista con la finanziaria del 2010. Obiettivo: sostenere le piccole e medie imprese meridionali con 7.500 sportelli sul territorio e la presenza tra i soci delle Banche di Credito Cooperativo e delle Popolari. Ma arrivò il Governo Monti, che aveva come ministro per lo Sviluppo economico l’amministratore delegato di Banca Intesa Corrado Passera, e la soffocò in culla.
Il 2 febbraio 2012 la Banca del Mezzogiorno aprì con appena 113 sportelli per 8 regioni meridionali, la sede centrale a Roma e un Consiglio di amministrazione dove c’era l’ex presidente del Milan Franco Carraro e neanche un uomo del Sud. Oggi ne è sparito perfino il nome, assorbita nel Mediocredito Centrale, che è controllato da Invitalia, l’ultimo spezzone della ex Cassa per il Mezzogiorno.
La classe politica senza reazione
Come per il Banco di Napoli nessuna reazione è venuta dalla classe politica meridionale. E lo stillicidio della perdita di funzioni direttive per Napoli e del depauperamento del Sud è proseguito. A maggio 2020 Tirrenia – la cui storia di compagnia di navigazione proiettata verso il Mediterraneo e il Nordafrica era cominciata nel 1936 proprio a Napoli – ha chiuso la sede alla Riviera di Chiaia. Gli ultimi 65 dipendenti sopravvissuti al lento svuotamento sono stati distribuiti tra Milano, Roma e Livorno.
Nessuno può pensare seriamente che il turismo possa compensare la perdita dei centri decisionali, delle direzioni delle imprese e la debancarizzazione. E neanche che il Sud possa trasformarsi in un semplice hub per le merci da e per l’Africa, come nelle ricette dello Studio Ambrosetti, o un in un centro di formazione per sviluppatori di app per conto delle multinazionali dell’informatica, come nel caso della Apple Developer Academy inaugurata dall’Università Federico II.
L’identità come leva per lo sviluppo e il ritorno dei centri decisionali, i nodi su cui convegno della Fondazione Banco di Napoli ha acceso finalmente i riflettori, debbono entrare nell’agenda dei politici meridionali. Quelli di oggi, da impegnare con un patto: nessun consenso senza la rappresentanza di queste esigenze. E quelli di domani, che dobbiamo formare.